Gli alberi di castagno (“l’arbo”) nel passato erano praticamente il nostro albero del pane e facevano da corolla alle case della borgata di Vaglio di Pettinengo, arroccate sul pendio.I castagneti cedui formavano un bel colpo d’occhio, davano frescura, sostentamento, legna da ardere e valore al territorio.Purtroppo dalla fine dell’ultima guerra si sono ridotti di numero, dato che la nostra società è molto meno attenta alla natura che ci circonda: le cause principali sono da addebitarsi al progressivo abbandono delle pratiche di gestione del ripopolamento forestale ed alle malattie che hanno colpito i castagni. Se il cancro del castagno non sarà domato, i nostri nipoti dimenticheranno persino il gusto del frutto che ha nutrito la nostra gente sin dai tempi lontani e che serviva come merce di scambio per avere i prodotti della pianura: riso, granoturco, frumento.
La raccolta dei frutti avviene ad ottobre: si battono le piante con delle canne a pertica, con un rastrello si ammucchiano i ricci caduti a terra che vengono battuti per farne uscire gli acheni, cioè le castagne.Si raccolgono scegliendo quelle buone, si infilano in un grembiule a tasca e poi si depongono nei cesti o in sacchi di juta.Si possono poi mettere in recipienti pieni d’acqua a temperatura ambiente per 7 – 9 giorni (la cosiddetta “novena“), si prelevano le castagne galleggianti che sono destinate all’alimentazione degli animali e poi si recuperano quelle rimaste sul fondo, che vengono allargate sul pavimento per l’asciugatura.La “novena” è un metodo per la conservazione che serve ad evitare la formazione di fungine e patogeni, anche se non è efficiente al 100%, a causa del clima umido della stagione autunnale.
Un altro sistema di conservazione a lunga durata, usato dai nostri nonni, era l’essicazione. La “grà”, ossia il graticcio, era in legno costituito da listelli di 3-4 cm di spessore, distanziati tra loro di circa un centimetro. Le castagne erano disposte a formare uno strato di 20-50 cm. Sotto si accendeva con mestiere il fuoco, alimentato da foglie e ricci, che emetteva il fumo che si convogliava nella grà in modo che attraversasse lo strato di castagne essicandole.Si ottenevano così le tipiche grulle (“gr ële”) usate per le minestre d’antan. Si dovevano sbucciare mediante battitura all’interno di un sacco di juta.
Quando il frutto del castagno non fu più indispensabile per la sopravvivenza, circa 37 anni fa, un gruppo di abitanti della borgata Vaglio decise di fondare un’associazione attorno all’albero del castagno, la Pro Vaglio, e di proporre una sagra avente per tema le castagne.Si iniziò con il preparare semplici caldarroste che potevano essere aromatizzate alla grappa, al rhum o al miele; circa 25 anni fa si propose, per la prima volta, una confettura di castagne che riscontrò un successo immediato per la sua qualità e particolarità.Considerate la passione con la quale ancora oggi la confettura viene preparata dalle genti di Vaglio Pettinengo e la possibilità di generare sviluppo a vantaggio del territorio di Pettinengo, venne fatta richiesta di inserire la confettura di castagne di Vaglio Pettinengo nell’Albo dei prodotti a Denominazione Comunale (De. Co.), riservandone la produzione nei mesi autunnali, e di presentarla durante la sagra della castagna, organizzata dall’associazione Pro Loco di Vaglio Pettinengo.